ANALISI VISIVA DI LIVELLO SUPERIORE:
LE INFLUENZE COGNITIVE E…PROIETTIVE
“(…) I nostri occhi ricevono vaghe immagini delle cose, rovesciate e distorte,
e il risultato è che noi vediamo il mondo che ci circonda
pieno di oggetti solidi e ben distinti gli uni dagli altri.
Riusciamo a creare un mondo di cose dagli stimoli elementari
che colpiscono la retina e questo è poco meno che un miracolo”.Richard L. Gregory, Eye and brain, 1996
La capacità di distinzione
La capacità di identificare singoli oggetti all’interno di un panorama visivo complesso è determinata da un’eccezionale facoltà di analisi, che attualmente non è stata in grado di essere riprodotta da nessun sistema di visione artificiale. Il sistema visivo umano è in grado di ricavare oggetti tridimensionali a partire dalle immagini bidimensionali della retina, oltre al fatto che l’oggetto viene riconosciuto come lo stesso anche in condizioni visive molto differenti tra loro. Il cervello ripartisce la scena nei suoi singoli componenti: separa il primo piano dallo sfondo, determinando quali stimoli luminosi provengono da un oggetto e quali da un altro e, per analizzare il flusso delle informazioni, si avvale delle esperienze pregresse.
Il corrispettivo nel processo di autoindagine
Nel processo di autoindagine, in particolar modo della componente più strettamente Io-somatica, la capacità di distinzione (e quindi di riconoscimento) tra i diversi stati, e ovviamente delle motivazioni, è tra i principali requisiti da allenare. Tuttavia, ma mano che si procede nel percorso, l’esplorazione consapevole della componente energetica, che sottende tali stati, conduce a una percezione estesa, fusionale e indifferenziata, senza la quale per altro non sarebbe possibile la distinzione, fondamentale nella componente acquisita della vita. Ciò sembra suggerire ancora una volta il concetto dell’autonomia fusionale, che sembra essere uno dei fattori di funzionamento basilare della vita.
La percezione sensoriale come processo creativo
Per lungo tempo la percezione sensoriale venne considerata un sistema additivo delle varie componenti (forma, colore, luminosità, ecc.) sotto l’influenza del pensiero filosofico empirista, soltanto recentemente essa è invece considerata un processo creativo e attivo sotto l’influenza della scuola di pensiero denominata psicologia Gestalt. Gestalt, in tedesco, significa forma o struttura. Il concetto che sta alla base di questa teoria è che ciò che vediamo di uno stimolo, ossia l’interpretazione percettiva che ne facciamo, non dipenda soltanto dalle proprietà dello stimolo, ma anche dal suo contesto. Ciò vuol dire che il cervello ha un suo modo di vedere il mondo, facendo associazioni in parte in base alle proprie esperienze e in parte alla strutturazione dei circuiti nervosi. Gli psicologi della Gestalt elaborarono i concetti di somiglianza, vicinanza e continuità[1] come una sorta di riferimenti per la percezione. Questo appunto perché il nostro cervello ha una tendenza innata a organizzare gli elementi percepiti in una struttura.
Importante per il riconoscimento degli oggetti è anche la separazione delle figure dal loro sfondo, per cui in situazioni diverse gli stessi oggetti presenti nel campo visivo possono rappresentare una figura riconoscibile o servire come sfondo per altre figure. Questo principio si basa non soltanto sugli aspetti geometrici della figura ma anche su aspetti cognitivi come l’attenzione e l’aspettativa, per cui lo stimolo d’innesco può facilitare l’associazione di elementi visivi diversi in un’unica percezione visiva.
L’interpretazione percettiva
Questa modalità di funzionamento è molto interessante perché evidenzia quanto l’organizzazione interiore incida sulla percezione, o meglio, sull’interpretazione percettiva che ne facciamo. Ciò che abbiamo precedentemente rilevato riguardo per esempio i colori e i suoni, ossia che in realtà essi non esistano in quanto tali ma siano l’elaborazione del nostro cervello di lunghezze di onde elettromagnetiche e frequenze di onde pressorie, allo stesso modo si può applicare alla percezione visiva: esiste l’interpretazione percettiva di elementi a cui attribuiamo un significato, che risente della modalità emotiva, cognitiva, esperienziale, che può essere differente per ognuno. Da qui una conferma di quanto tutto ciò che percepiamo sia proiettivo e che quindi ogni esperienza sia necessariamente soggettiva, in base all’acquisito, mentre, ricordiamolo, ciò che ne permette il funzionamento, come campo di forza, è innato, universale e all’origine indifferenziato. Le figure A e B evidenziano bene quanto l’aspettativa e l’attenzione giochino un ruolo essenziale per l’interpretazione percettiva: osservando la figura A, senza nessun’altra informazione aggiuntiva, probabilmente la vediamo come un insieme di chiazze bianche e nere percepite a un primo impatto come casuali, dopo aver osservato la figura B e successivamente la A, quest’ultima acquisisce immediatamente un altro significato. Traslando questo meccanismo nel quotidiano, possiamo accorgerci di quanto l’aspettativa e l’attenzione, rispetto il proprio livello di consapevolezza, possano condizionare l’interpretazione di ciò con cui ci relazioniamo. Possiamo fare alcuni esempi: se una persona è particolarmente identificata nella sessualità tenderà a osservare gli altri applicando questo filtro, così se è iroso interpreterà il comportamento altrui prevalentemente secondo questo parametro, se si percepisce come brutto, non idoneo, tenderà a dare particolare attenzione a questo parametro e ad attribuirlo al giudizio dell’altro. E ancora. Il motto per antonomasia dei gestaltisti è:
“il tutto è più della somma delle parti”,
ossia che la totalità del percepito è dovuto alla somma delle parti ma anche alla capacità innata di percepire un processo unitario in base al significato attribuito a seconda del contesto. Ne sono esempi le figure geometriche ambigue, come le seguenti immagini: il cubo di Necher (n.1), il vaso di Rubin (n. 2) o la giovane-anziana (n.3), che variano a seconda di come sono percepite dal soggetto.
In sostanza, uno stesso oggetto può assumere significati diversi a seconda del bisogno espresso dalla persona in quel preciso momento.
La teoria della Gestalt è attualmente usata in ambito clinico per i disturbi legati alla sfera percettiva[2].
Per la Sigmasofia questa modalità è utile per capire alcuni funzionamenti percettivi, ma all’interno di un contesto molto più ampio. Inoltre, la percezione stessa può essere ampiamente più estesa ed essere consapevolmente percepita al di là del significato, che sì ha importanza nel percorso di ricerca personale ma, in ultima analisi, per essere trasceso.
I correlati neurali del sistema visivo
Approfondiamo ora i correlati neurali del sistema visivo.
Un primo livello delle analisi visive mette in risalto i contrasti tra le immagini, un secondo livello è responsabile del riconoscimento di elementi primari dell’immagine (forma, colore, superficie ecc.), le analisi visive di livello superiore integrano informazioni provenienti da altre zone corticali a cui giungono afferenze sensoriali diverse, arricchendole di significati semantici ed emozionali che implicano la memoria a breve e a lungo termine, e comportamenti finalizzati, determinando la nascita di esperienze visive coscienti.
I collegamenti neuronali di queste vie nervose e delle aree corticali coinvolte determinano come detto le esperienze visive coscienti, ma abbiamo visto come l’interiorità, con l’identificazione nei processi acquisiti, problematici o no, influenzi, determinandola, l’esperienza cosciente stessa.
Gli esseri viventi stessi, che per il sistema visivo sono dei semplici oggetti, al pari di essi sono in realtà fonte di intenzioni, desideri, ricordi, associazioni, quindi possibili inneschi di iniziative appunto basate sulle informazioni che riceviamo. La percezione, pertanto, può essere considerata il nesso tra la visione e la conoscenza. Nel greco antico, infatti, il verbo οἶδα (pronuncia: oida) significa propriamente sapere per aver visto, udito.
Ma il sapere,
l’esperienza cosciente
è appunto
direttamente proporzionale
al livello di penetrazione dell’esperienza stessa.
La corteccia infero-temporale
La corteccia infero-temporale è il centro primario per il riconoscimento degli oggetti. I segnali visivi della retina vengono inviati all’area visiva primaria e da qui smistati alle vie dorsale (devoluta alla collocazione nello spazio degli oggetti) e ventrale (devoluta al riconoscimento degli oggetti) fino al lobo temporale, nello specifico alla corteccia infero-temporale, attraverso quest’ultima via; la suddetta area corticale invia i segnali all’ippocampo e alla corteccia prefrontale (devolute rispettivamente alla memoria e alle funzioni cognitive e comportamentali).

I deficit all’interno della corteccia infero-temporale comportano agnosia appercettiva o agnosia associativa, in base all’area lesionata.
L’agnosia appercettiva consiste nell’incapacità di riconoscere le diverse parti di un oggetto come un tutt’uno, per cui, per esempio, il soggetto non riesce a copiare un disegno.
L’agnosia associativa comporta l’incapacità di assegnazione di un significato agli oggetti pur rimanendo inalterata la capacità di percepirli interamente.
I neuroni della corteccia infero-temporale codificano stimoli visivi complessi, come il riconoscimento delle facce, nell’Uomo, infatti, la lesione di un’area di tale corteccia determina prosopoagnosia, ossia l’incapacità di identificare un viso come appartenente a una certa persona, pur rimanendo conservate le capacità di riconoscere una faccia in quanto tale e distinguerne le emozioni attraverso le espressioni facciali.
Il corrispettivo interiore dei deficit
Applicando il corrispettivo interiore di suddetti deficit, possiamo affermare che l’agnosia appercettiva è una discrasia collegata all’
ostacolatore identificazione,
che determina la fissazione in un contenuto specifico, facendo perdere di vista l’insieme dei vari stati coscienziali. Su larga scala, possiamo inoltre affermare che l’appercezione sia la discrasia dell’essere umano rispetto all’ostacolatore frattura: ossia l’inconsapevolezza di essere parte-Universi, ossia una parte in entanglement con gli Universi esistenti.
L’agnosia associativa può essere la manifestazione della discrasia dell’
ostacolatore potere,
nella sua declinazione di impotenza, rispetto alla penetrazione delle esperienze di vita. La prosopoagnosia lo è
dell’ostacolatore difesa-resistenza-repressione
e dell’ostacolare potere,
per cui non si riconosce l’altro per meccanismi di difesa-repressione rispetto vissuti emotivamente significativi con lui/loro e non elaborati, ma appunto spesso repressi.
La costanza delle percezioni
Il riconoscimento degli oggetti si basa sulla costanza delle percezioni. Infatti gli oggetti possono essere riconosciuti indipendentemente dalla distanza (principio denominato costanza rispetto alle dimensioni), dalla posizione (costanza rispetto alla posizione) e dalla riflettanza, ossia quando variano gli elementi che ne definiscono il profilo (invarianza delle forme). Tuttavia l’invarianza rispetto al punto d’osservazione, proprietà che consente di riconoscere gli oggetti osservati da angoli visuali diversi, comporta delle importanti eccezioni quando l’angolazione della percezione restituisce un’immagine indefinita, per esempio un secchio visto dall’alto, questo perché la maggior parte dei neuroni è sintonizzata a vedere oggetti tridimensionali secondo angoli visuali particolari; mentre studi hanno rilevato che nei precedenti casi le risposte neuronali registrate non variano in caso di differente distanza, posizione o riflettanza, non sono stati attualmente rilevati neuroni in grado di mantenere ugual risposta al variare dell’angolazione visiva.
Il corrispettivo interiore della costanza percettiva
È interessante notare che, traslando questo meccanismo all’interiorità, una scena, una tematica cambia aspetto solo se osservata da angolazioni differenti. È appunto la diversa prospettiva che ne mette in luce gli aspetti differenti, pur rimanendo all’interno della stessa tematica. Non a caso, infatti, anche nel linguaggio comune si usa la frase
cambiare prospettiva,
o ottica,
proprio per indicare un approccio differente che può restituire nuovi insight e spunti di riflessioni di particolare rilevanza.
l riconoscimento della categoria
Un’altra tipo di costanza è quella di riconoscere i singoli oggetti come appartenenti alla stessa categoria, in generale, ciò semplifica il comportamento in quanto per esempio non è importante distinguere il tipo di sedia che ci viene offerta quanto il fatto che sia una sedia. Studi su scimmie hanno rilevato che esistono dei neuroni categoria-specifici sia nella corteccia infero-temporale sia nella prefrontale, in particolare quelli per il riconoscimento delle facce, ma per la maggior parte degli stimoli le rappresentazioni di categoria si generano nella corteccia pre-frontale, dove le risposte visive sono legate più comunemente al significato comportamentale degli stimoli. Questo ci indica che è sempre il significato acquisito che viene sempre più specificato, e questo può avere una sua utilità ovviamente, ma ciò che consente la vita, nella sua essenzialità, è soddisfare i metabisogni primari, i bisogni-desideri, che ne sono dei correlati, rispondono ad esigenze peculiari non fondamentali. Il fatto che il cervello sia predisposto a questo funzionamento di base ne è un esempio, anche se, come vedremo di seguito e come è nell’esperienza di tutti, è possibile specificare e individuare anche dettagli sempre maggiori, consentendo una capacità sempre più fine.
Esperienze visive e memoria
Le esperienze visive vengono conservate come memoria e influenzano le informazioni visive in arrivo, perciò possono essere modificate dall’esperienza, che può strutturarsi grazie alla plasticità neurale, l’apprendimento, come detto nelle precedenti lezioni, può essere di tipo implicito (automatico e inconsapevole) ed esplicito (attraverso l’esposizione ripetuta e consapevole ai nuovi stimoli).
La capacità di distinguere sottili differenze tra stimoli visivi simili è dovuto alla variazione neuronale via via più selettiva in conseguenza dell’apprendimento implicito.
Numerosi studi hanno analizzato la relazione tra memoria ed esperienza visiva, da cui si evince che i neuroni della corteccia infero-temporale e prefrontale sono implicati nei processi mnemonici, poiché la loro attività persiste anche durante un periodo di ritardo rispetto alla proposta di un nuovo stimolo visivo ma, mentre i neuroni della corteccia infero-temporale sono implicati prevalentemente per la conservazione della memoria a breve termine, quelli della corteccia pre-frontale lo sono per la memoria a lungo termine e codificano informazioni provenienti anche da altre modalità sensoriali.
Numerosi esperimenti hanno inoltre evidenziato che l’allenamento all’associare diversi stimoli visivi determina la strutturazione dell’associazione attraverso la modifica delle relative connessioni sinaptiche. Inoltre, all’inizio degli esperimenti associativi, i neuroni della corteccia pre-frontale codificano le informazioni visive ma, in seguito, cominciano a codificare l’oggetto atteso, associato durante l’addestramento. È plausibile che tali neuroni inviino segnali discendenti alla corteccia infero-temporale (implicata nel riconoscimento degli oggetti) che attiva i neuroni che rappresentano l’oggetto stesso dando in tal modo origine al ricordo cosciente. Poiché l’ippocampo è fondamentale per l’acquisizione delle memorie visive associative, potrebbe svolgere un ruolo facilitante la riorganizzazione dei circuiti neuronali per la conservazione della memoria visiva associativa. Ne consegue che l’immagine reale e il ricordo di essa siano simili ma, mentre la prima dipende dalle afferenze, il secondo deriva dalle efferenze, tuttavia le esperienze visive, come visto, sono il prodotto della collaborazione di segnali ascendenti e discendenti.
L’apprendimento
Tutto ciò è estremamente interessante perché mette in luce che l’apprendimento è la risultante tra memorie acquisite e nuovi vissuti e questo è di enorme utilità nell’applicazione quotidiana, tuttavia l’associazione tra stimoli potrebbe non essere sempre funzionale se condizionante la successiva esperienza. Ciò avviene quando interpretiamo ciò che ci accade applicando soltanto i significati-significanti che conosciamo, senza una reale apertura che ci predisporrebbe a continui apprendimenti, in linea con la transfinitezza degli Universi. Spesso infatti, non ci relazioniamo con il reale, nel qui ed ora, quanto con la memoria con cui interpretiamo il contesto, sia esso interiore od esteriore, quando invece le esperienze, in senso ampio, sono il prodotto della collaborazione tra segnali ascendenti (ciò che sta accadendo nel qui ed ora) e discendenti (il ricordo).
Un ricordo visivo è infatti il prodotto della modificazione sinaptica a seguito dell’associazione tra segnali visivi associati, che prima dell’apprendimento associativo venivano rappresentati da diversi neuroni che codificavano indipendentemente i diversi stimoli, ciò significa che se prima dell’apprendimento un neurone rispondeva soltanto allo stimolo A, dopo l’apprendimento dell’associazione allo stimolo B, risponde anche ad esso, quindi il neurone relativo a B può attivare anche quello relativo ad A, in conseguenza della correlazione neuronale operata in via discendente. Ciò significa che l’attività correlata con il ricordo sia praticamente identica a quella attivata durante lo stimolo tanto da poterla anticipare. Da qui la consapevolezza che tutto ciò che viviamo è sempre simbolico-reale.
Conclusioni
In conclusione, il significato di ciò che vediamo è alla base del processo di riconoscimento visivo, altrimenti un’immagine svuotata del suo significato non è che una semplice percezione. Esso è inoltre fortemente correlato all’esperienza sensoriale, in questo caso visiva, e a all’associazione tra le varie esperienze. L’utilizzo del registro simbolico-reale e reale-simbolico nel percorso di ricerca sigmasofica è probabilmente efficace proprio per queste modalità di funzionamento, ma ancora siamo nell’ambito acquisito. La Sigmasofia pone infatti l’attenzione non soltanto sul significato acquisito, anche se, in quanto soggettivo è importante elaborarlo ai fini della ricerca interiore personale, ma soprattutto sulla percezione proprio al di là del significato attribuito: il
percepire la percezione,
ossia il campo vitale che attiva la facoltà percettiva, indipendentemente dal significato.
Attualmente la neuroscienza sa molto circa i correlati neuronali relativi al riconoscimento visivo, ma sa ben poco circa i circuiti che li determinano e ancora meno rispetto ai meccanismi che ne consentono la modificazione attraverso l’esperienza. Probabilmente proprio perché la ricerca neuroscientifica ancora non si avvale di altre prospettive.
Note
[1] Somiglianza: in un insieme uniforme di punti disposti in righe o colonne, se i punti di ogni una riga sono di colori diversi è probabile che vediamo la struttura come una serie di righe alternate. Vicinanza: nello stesso insieme, se i punti sono più vicine di quelli delle righe, la vedremo come disposta in colonne. Continuità: più punti che giacciono sulla stessa linea appiano appartenenti alla stessa.
[2] Il Bender Visual Motor Gestalt test, utilizzato per il disturbo di Neglet, costituito da nove figure che il soggetto deve riprodurre per la valutazione della funzione visuo-motoria.
Il test di Rorschach, utilizzato in ambito psicologico, costituito da dieci tavole raffiguranti macchie di inchiostro simmetriche di colore bianco e nero, a cui il soggetto a cui vengono mostrate deve attribuire un significato in base al suo modo di percepire, ciò da informazioni inerenti al funzionamento psichico della persona in oggetto.
Il Thematic Apperception Test (TAT) di Murray, formato da immagini raffiguranti persone in situazioni ambigue a cui il soggetto al quale vengono mostrate deve attribuire una storia per ciascuna illustrazione. Dai racconti effettuati è possibile ricavare conflitti, bisogni e modalità relazionali del soggetto in questione.
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