Barriera sensibile e sovrasensibile
Lo sviluppo di tecniche di visualizzazione cerebrale come la risonanza magnetica funzionale per immagini (fMRI functional magnetic resonance imaging), la tomografia a emissione di positroni (PET positron emissione tomography), la tomografia computerizzata basata sull’emissione di singoli fotoni (SPECT single-photon emission computed tomography) sono correlate con il fabbisogno metabolico.
Indipendentemente dalla tecnica di visualizzazione usata il metabolismo energetico dei neuroni è influenzato
- dalle variazioni dell’attività sinaptica,
- dall’assunzione di glucosio,
- dal flusso e dal volume ematico
variazioni rilevate mediante tecniche differenti[1].
Poiché i processi cognitivi implicano un aumento del metabolismo è possibile evidenziare le relative aree funzionali, con le limitazioni che comunque questi mezzi d’indagine presentano e che affronteremo più avanti.
La rivalità binoculare
Si è tentato di comprendere i correlati neurali della coscienza attraverso l’analisi del fenomeno della rivalità binoculare. La rivalità binoculare è il meccanismo che consente di fondere due immagini percepite dai due occhi in una unica e darle profondità, ma se gli stimoli visivi sono molto differenti tra loro il meccanismo percettivo non consente tale fusione e quindi la possibilità di vedere un’unica immagine, si è coscienti di uno stimolo per volta perché ciò che vede un occhio prevale sull’altra immagine per qualche secondo sopprimendone la percezione cosciente, e viceversa, si evidenzia quindi un’oscillazione da una percezione all’altra con conseguente modifica delle aree rilevate attraverso la fMRI, pur non cambiando lo stimolo fisico. Le aree coinvolte, oltre a quella visiva primaria, sono emerse essere anche quelle secondarie di ordine superiore.
In un altro esperimento in cui gli stessi soggetti venivano distolti dall’osservazione dell’immagine stimolante la rivalità binoculare, si evidenziava comunque l’attività della corteccia visiva primaria pur non essendo direttamente stimolata dalle immagini rivali, mentre non si rilevava attività delle aree visive secondarie, ciò fece dedurre che
per la percezione cosciente l’area visiva primaria non è sufficiente di per sé.
Durante l’alternanza della percezione generata dalla rivalità binoculare è stata rilevata l’attività anche della corteccia parietale e di quella prefrontale. Poiché, in generale, le percezioni sono composte da molteplici sensazioni che ne determinano una unitaria (pensiamo alla percezione di una persona, risultante di diverse informazioni visive, uditive ma anche olfattive e somatosensitive), si ipotizza che
un’esperienza cosciente sia la risultante di attività neurali sincrone di regioni cerebrali diverse.
In altri esperimenti è stato chiesto ai soggetti di associare fotografie o suoni ad una parola scritta (ad esempio la scritta cane alla fotografia di un cane a all’abbaio). I soggetti venivano sottoposti a scansione mediante fMRI quando veniva mostrata loro la parola e successivamente quando veniva mostrata loro la fotografia o emesso il suono associati, per rilevare le aree implicate nella percezione, e infine quando veniva chiesto loro di ricordare la fotografia o il suono associati per rilevare le zone di immagazzinamento della memoria. Con sorpresa fu rilevato che le zone implicate nella percezione di ordine superiore risultavano attive sia durante l’ascolto iniziale del suono associato sia durante la sua rievocazione, così come per la visione della fotografica e per il ricordo della stessa, mentre risultavano inattive le arre percettive primarie durante la rievocazione, ciò dimostrò che
il richiamo cosciente coinvolge aree implicate nella percezione cosciente.
La visualizzazione nella fase del sonno
L’ipotesi che le aree sensoriali di ordine superiore siano implicate nella memoria è stata rinforzata da studi inerenti alle varie fasi del sonno: le tecniche di visualizzazione funzionale hanno messo in evidenza che tali aree risultano attive sia durante la fase R.E.M. che in quella N.R.E.M., mentre non sono attive quelle primarie.
Ciò potrebbe evidenziare il fatto che, come sostiene la Sigmasofia, il meccanismo della visualizzazione funziona indipendentemente dallo stimolo esterno e non occorre nemmeno che siano funzionanti le vie sensoriali primarie, ossia quelle che, da svegli, consentono di percepire l’esterno. Ciò confermerebbe che
il campo coscienziale si avvale del sistema nervoso
per farci funzionare appunto nel sensibile,
che è una modalità di funzionamento, ma non l’unica,
e che può esistere proprio perché esiste il sovrasensibile.
L’esperienza cosciente e l’attenzione
Precedentemente si menzionava il fatto che l’esperienza cosciente, cioè la consapevolezza di ciò di cui stiamo facendo esperienza (toccare un oggetto, guardare una persona ecc.) è la risultante dell’attività sincrona di aree cerebrali diverse (implicate nella percezione cosciente dei singoli stimoli sensoriali, come la forma, il colore, la consistenza ecc.) e addirittura, come è stato descritto successivamente, a prescindere dall’integrità o dal coinvolgimento diretto delle vie sensoriali primarie. Ne deriva che
l’attenzionare un contenuto specifico (la forma, il colore, un’emozione, un pensiero ecc.) non ci dà l’informazione complessiva di ciò che stiamo osservando, anche se ne è una componente.
Poiché il sistema nervoso viene bombardato costantemente da stimoli interni ed esterni, ma siamo consapevoli solo di alcuni di essi, l’attenzione è uno dei fattori che ne influenzano la selezione e le motivazioni per cui questa viene eseguita. Lo psicologo William James ha decritto due diversi tipi di attenzione:
- quella passiva, automatica, sostenuta da stimoli e transitoria;
- quella attiva, volontaria, alimentata dell’ideazione e prolungata nel tempo.
Esperimenti di visualizzazione funzionale hanno evidenziato l’attivazione di subregioni cerebrali diverse, in base ai diversi tipi di attenzione, rilevate all’interno delle aree parietali e frontali. Inoltre, durante tali esperimenti, l’istruzione ad aspettarsi uno stimolo visivo in un certo lato del monitor ha evidenziato l’incremento della prestazione in coincidenza della presentazione dello stimolo atteso, ciò suggerisce l’ipotesi che aree corticali di ordine superiore fluiscano per vie retrograde alle aree corticali sensoriali implementando la rappresentazione sensoriale degli stimoli attesi.
Che cos’è l’attenzione
Tuttavia non viene spiegata cos’è l’attenzione, una sua definizione è stata data dallo già citato psicologo W. James come:
“la presa di possesso da parte della mente, in forma chiara e vivida, di un oggetto o di una successione di pensieri fra i tanti che sembrano essere disposti simultaneamente”.
A mio avviso la frase “presa di possesso da parte della mente” presuppone che la mente possa prendere possesso, ma è proprio tale funzione quella da definire e che più si avvicinerebbe, forse, all’individuazione di cosa sia l’attenzione, inoltre, in questa frase si ipotizza che i pensieri siano disponibili simultaneamente e, così come negli esperimenti citati, l’attenzione sembra coincidere con la capacità di discernimento, di isolamento di un qualcosa tra altre simultanee, eppure, in precedenza è stato affermato che l’esperienza cosciente è la risultante di diverse aree cerebrali che agiscono sincronicamente. Possiamo dunque affermare che, ancora una volta, la capacità di scomporre, di selezionare, di individuare singole componenti debba funzionare simultaneamente alla capacità di processare l’insieme delle informazioni in una percezione unitaria.
L’indifferenziazione di processi simultaneamente disponibili
Secondo la Sigmasofia, la capacità di individuazione, di discernimento dei singoli contenuti degli stati coscienziali è una capacità, per di più da potenziare, indispensabile per conoscere alcune componenti di noi stessi, ma da attraversare per poter essere consapevoli di quello stato di indifferenziazione di processi simultaneamente disponibili (così come lo è lo zigote dal quale proveniamo). Per la Sigmasofia, la barriera sensibile è, infatti, composta da ogni contenuto dei vari stati di coscienza, e il campo di forza che ne permette la creazione è la componente sovrasensibile della stessa, è quindi un incontro inevitabile per la formazione a se stessi, e necessariamente da attraversare per percepire il proprio Io-psyché (attraverso lo strumento del sistema nervoso di cui si avvale) nelle sue estensioni oltre i propri confini Io-somatici, ecco che allora
si può avere
l’esperienza cosciente della simultaneità dei sensi
che non sopprime la consapevolezza
(come nel fenomeno della rivalità binoculare)
del dettaglio,
anzi ne implementa la capacità.
È un differente modo di funzionare.
Limiti delle tecniche di visualizzazione funzionale
Le limitazioni rispetto alle tecniche di visualizzazione funzionale, di cui facevo riferimento all’inizio di questo articolo, riguardano il fatto che il contenuto di desossiemoglobina non è un valore misurabile in termini assoluti, perché può variare in base a interazioni complesse, non del tutto note, del flusso ematico, alle differenti condizioni basali di aree diverse e alla presenza di processi patologici cerebrali che ne modificano le condizioni basali. Per esempio, confrontando le immagini di un semplice esperimento di stimolazione visiva mediante utilizzo di fRMI, su un soggetto giovane, uno anziano ed un altro affetto da malattia di Alzheimer, si evidenzierebbe una minore attivazione di quest’area nel soggetto con malattia di Alzheimer e in quello anziano, che invece non presentano nessun evidente deficit visivo, questo appunto perché le condizioni del circolo sono differenti in rapporto all’età e alla malattia.
Dunque, la visione delle immagini deve essere sempre contestualizzata rispetto a diversi fattori complessivi, contestualizzazione e interpretazione delle immagini, aggiungo io,
a carico dell’Io-psyché che le osserva
(e quindi delle sue capacità e competente). Al di là di questo aspetto, di fatto esistente e importante, ciò evidenzia ancora una volta quanto lo zoomare su un aspetto non può prescindere dall’insieme.
Note.
[1] La MRI -risonanza magnetica per immagini- è basata sulle proprietà fisiche dei tessuti che, stimolati da onde a radio frequenza e campi magnetici emettono segnali di risonanza elettrica, che sono quelli che vengono misurati permettendo di acquisire immagini delle strutture anatomiche analizzate; la fMRI -risonanza magnetica funzionale- misura la risposta neuronale del cervello durante l’esecuzione di un compito, attraverso la rilevazione dei livelli di desossiemoglobina nei tessuti. Quando i neuroni si attivano aumenta il metabolismo: si determina un maggior afflusso di sangue ossigenato nel sito interessato (ossiemoglobina) e, quindi, una riduzione della desossiemoglobina, con una relativa diversa risposta ai campi magnetici indotti.
La PET misura la risposta tissutale all’introduzione nel corpo di sostanze marcanti e rilevano l’aumento dell’attività nervosa indicata dalla coppia di raggi gamma emessi, in conseguenza dell’annichilazione scaturente dalla reazione alle sostanze introdotte.
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